Il nome Pasqua deriva dall’ebraico e nella sua più antica accezione significa “passaggio”. Sì, ma per dove?
Credo che la Pasqua sia il passaggio da una condizione di vita spiritualmente grama ad una più luminosa. Non si fa Pasqua per il Paradiso, sarebbe un’ipocrisia. La Pasqua è su questa terra e può cambiare la vita di ognuno di noi tutti i giorni, tutto l’anno. Questo, a mio avviso, il senso della festività.
Chiunque può vivere la Pasqua: il cristiano, la musulmana, il buddista, l’atea. Pasqua è risorgere nello spirito con Umiltà e Speranza.
Umiltà: sapere che non contiamo nulla nell’universo eppure siamo così grandi per una formica, accorgersi del paradosso della vita nel caos galattico. Non si acquisisce sui libri l’umiltà, la si sperimenta. L’umiltà non è una formula, è una esperienza quotidiana fattuale. Quando pecchiamo di superbia, sperando, per pochi attimi, d’essere più che umani, sprofondiamo nel fango della vanagloria. L’umano è grandezza e piccolezza insieme, è ricchezza e povertà inscindibili. E se è vero che preghiera ha la stessa etimologia di precario, è tanto più vero che “il precariato” (non quello lavorativo ma quello esistenziale!) è una peculiarità dell’essere umano. Vivere nella precarietà è il bello e il brutto dell’essere umani, è l’ignoranza socratica. La morte e la distruzione sono sempre dietro l’angolo, ma dalla Pasqua dovremmo imparare a celebrare la vita, perché il buio è così invidioso della luce che ogni giorno cerca di trascinare nella tenebra. E il giorno successivo il sole sorge di nuovo.
Ecco allora la Speranza.
Speranza: non avere paura o meglio, essere più grandi della paura. Difficile in tempi di pandemia. Il senso del lavoro è minato alle fondamenta, l’intimità con i nostri cari si dissolve e i punti di riferimento vacillano. Ma non è questa una grazia? Non siamo forse abituati ad uno stile di vita frenetico e martellante che ogni giorno ci logora? Non ci lamentiamo ogni giorno d’un sistema che non funziona? Non urliamo ai quattro venti che i legami tra le persone siano usa e getta? Ecco allora un momento di riflessione forzata, di silenzio indotto. Un “discorso della montagna” interiore. Nuove lenti per vedere queste settimane come una speranza per il futuro, come un respiro di sollievo per comprendere meglio il presente, come uno scossone della vita per imparare ad amare meglio, a partire da noi stessi, a partire dalle piccole cose:
Ripensare la solitudine come una essenziale via d’accesso al mondo.
Apprezzare il dono dell’anzianità come monumento e raccoglimento prima ancora di considerarla peso e sfogo.
Accogliere la libertà dell’amicizia, che è sincerità e divergenza ancorché esclusivamente gioco e comunione.
Desiderare la grazia dell’amore, il quale piano piano si prende cura di tutto il resto.
Buona Pasqua!
Luca Sbarbati, 12 aprile 2020