Quel precario senso d’infinito

Immaginate di lavorare almeno 2 ore a settimana per un progetto in cui credete molto. Provate a pensare ora che dopo un tempo sufficientemente lungo, ad esempio più d’un anno, tutto ciò su cui state lavorando vada in fumo in pochi istanti. Può succedere, diranno i più navigati. Ed è successo. Ancora.

Stavolta, tuttavia, la situazione è maledettamente poco grave. Ho semplicemente perso qualsiasi post scritto su questo sito prima di gennaio 2020.

La colpa, purtroppo, è del vecchio servizio di assistenza, del quale non farò il nome. La migrazione verso un servizio migliore mi è costata 90 post! Fatto sta che ora ho un blog più veloce, più performante e più libero, perché da quella brutta nottata ho deciso di ricominciare. Stavolta senza pubblicità né pagina per le donazioni.

Perché? Perché nella disgrazia ho imparato a riconoscere la grazia.

Da quella brutta sera mi sono riscoperto un po’ web designer e un po’ assistente informatico. Da quelle brutte ore sono tornato a scrivere in maniera del tutto naturale e, spero, più incisiva di prima.

In tempi di pandemia questa è una lezione per la vita e non la scorderò. La precarietà avanza perfino (soprattutto?) nel mondo digitale e anche se stavolta ero perfettamente preparato ad “accusare il colpo”, l’impatto è stato comunque devastante.

Non nego che una parte di me voleva farla finita con le riflessioni a portata di click e chiudere il dominio. Pochi feedback, pubblico bombardato da notifiche ben più appetitose, ma soprattutto, frustrazione verso un sistema che non funziona al meglio. E fidatevi, questa volta non era mia la colpa. Posso urlare con forza di essermi documentato, aver riletto, aver agito con cognizione di causa. Alzare la voce non servirà a nulla. La qualità si paga e il mercato, a volte, è spietato.

Purtroppo i servizi che ospitano un sito non si vogliono molto bene tra di loro, il mercato spesso li fa scannare e chi ci rimette è sempre l’utente medio.

Dopo pochi giorni, l’affetto dei miei cari e un dono inaspettato della vita mi hanno rimesso in carreggiata. Più forte di prima, più convinto di prima nel rincorrere il sogno di poter scrivere in maniera indipendente e libera anche in futuro. Ero già certo che momenti come questo si possono superare, questa è l’ennesima prova del nove. Perché tutto passa, specialmente le delusioni informatiche. E la vita premia sempre se ci togliamo il paraocchi.

Cosa ho imparato da questa esperienza? Niente. Cosa ho ripassato? Quella dannata frase fatta: “quando si chiude una porta si apre un portone”.

Aspettatevi post in abbondanza. A presto.

Luca Sbarbati, 22 marzo 2020

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