Friedrich Nietzsche riassunto

Friedrich Nietzsche è uno dei più grandi filosofi della storia della filosofia. Egli fu un genio sui generis e viene riconosciuto come il padre del nichilismo.

Friedrich Nietzsche Primo piano HD

Friedrich Nietzsche riassunto

Introduzione alla vita

Friedrich Nietzsche nasce a Röcken, nei pressi di Lipsia, nel 1844. Nel 1849 muore il padre, dopo un anno di “apatia cerebrale”. Nel 1950 muore il fratello per una improvvisa febbre cerebrale (da qui, alla madre vedova rimarranno solo 2 figli: il primogenito Friedrich e la sorella, la famosa Elisabeth). A seguito di queste disgrazie, la famiglia si trasferisce a Naumburg, dalla nonna materna del Filosofo. Nietzche inizia giovanissimo a studiare musica e canto, compone poesie e legge precocemente i grandi della letteratura (come Goethe). Il giovane è così talentuoso che viene ammesso al prestigioso liceo di Pforta (vicino a Naumburg) e frequenta l’istituto come interno beneficiario di una borsa di studio ecclesiastica. Durante gli studi liceali il giovane Nietzsche inizia a soffrire di emicrania, questo male lo perseguiterà a vita. Concluso il liceo, prova (sotto la spinta materna) a studiare teologia all’università di Bonn, ma resisterà lì solo qualche settimana. In questo periodo, Nietzsche perde la fede e si iscrive (1865) all’università di Lipsia per continuare a seguire le lezioni di filologia classica di Friedrich Ritschl (già seguito a Bonn). Il giovane Nietzsche si innamora di due figure:

Schopenhauer (compra su una bancherella “Il mondo come volontà e rappresentazione” e lo legge tutto d’un fiato).

Wagner (conosce il compositore dal vivo nel 1868).

Questa è l’epoca estetica di Nietzsche, di questo periodo è La nascita della tragedia (prima edizione, 1872). In questa epoca Nietzsche scrive espressamente: “La più alta metafisica è il bello, è l’arte”.

Spirito dionisiaco e spirito apollineo

La nascita della tragedia era un libro audace, era un libro che si basava sulle tradizioni orali senza nessuno scritto serio per rianimare questo mondo che stava “dietro la classicità”, che stava “prima del mondo classico greco”. Nietzsche venne quindi attaccato violentemente dal mondo accademico che “lo scomunica” e lo isola, seppur egli sia già professore di ruolo a Basilea (celebre è un evento tratto da quegli anni di università: Nietzsche si trovò a fare lezione a 2 studenti, nessuno dei quali studiava filologia).

Dioniso è l’immagine della forza istintiva della salute è ebbrezza creativa e passione sensuale, e il simbolo di un’umanità in pieno accordo con la natura. Apollo è visione di sogno, tentativo di esprimere il senso delle cose nella misura nella moderazione, è equilibrio e limpidezza.

Nella tragedia classica lo spirito dionisiaco viveva liberamente, mentre dopo Socrate esso fu incatenato dalla cultura con conseguente decadimento del vero spirito della tragedia stessa, il quale spirito è un coraggioso dire sì alla vita. Per Nietzsche, Socrate e Platone sono i sintomi del decadimento culturale, gli antigreci per eccellenza. Socrate, secondo il Filosofo tedesco, volle addirittura morire e disse quindi “no” alla vita.

Tre atteggiamenti di fronte alla storia

L’opera La nascita della tragedia fu violentemente attaccata (soprattutto da Moellendorff) di scarsa serietà filologica. È proprio contro tale esaltazione della scienza e della storia che Nietzsche scrive (1873-1876) le Considerazioni inattuali. Qui viene ancora esaltato Schopenhauer come precursore della nuova cultura dionisiaca e viene combattuta dal Filosofo, quella che è chiamata la “saturazione di storia”. Nietzsche riconosce il valore della storia ma combatte l’idolatria del fatto e le illusioni storicistiche: i fatti sono stupidi perché hanno sempre bisogno di un interprete, inoltre chi crede nella potenza della storia sarà sempre esitante, insicuro e non potrà credere pienamente in sé stesso. Chi non crede in sé sarà sempre succube del mondo reale “già in atto”, che questo si manifesti in un governo, in una opinione pubblica o in una “maggioranza numerica”.

Sono dunque tre gli atteggiamenti che Nietzsche distingue di fronte alla storia:

La storia monumentale è la storia di chi cerca nel passato modelli maestri per soddisfare le proprie esigenze.

La storia antiquaria è la storia di chi prende il passato della propria città come fondamento della vita presente; questa storia cerca conserva valori stabili e vi radica il presente.

La storia critica è la storia di più dal passato con criticità abbattendo gli elementi che sono di ostacolo per realizzare i propri valori. Questo è l’atteggiamento di Nietzsche di fronte alla storia.

Il distacco da Wagner e da Schopenhauer

Nel 1976 viene inaugurato il teatro di Bayreuth (per la quale costruzione anche Nietzsche, oramai “inserito” nella cerchia dei wagneriani, si era in qualche modo dato da fare), simbolo della musica e dell’opera tedesca. Nelle 4 opere di Wagner chiamate L’anello del Nibelungo e presentate proprio nel 1976, un mito chiave è quello della “maledizione dell’oro” che corrompe gli dei e che quindi conduce alla distruzione e al crollo del Walhalla, il castello incantato (e gli dei qui compresi) che gli dei stessi hanno fatto costruire ai nani, ingannandoli (in questo modo compromettendosi essi stessi).

Qui Wagner contrappone a questo mito, che è un mito che vuole evidenziare il capitalismo di quegli anni (70-80 dell’800), l’ideale estetico del ritorno all’arte, del ritorno all’arcaico, all’irrazionale schopenhaueriano che “fronteggi l’irredimibile male del mondo”. A questo punto i rapporti tra Nietzsche e Wagner si compromettono: Nietzsche è “nauseato” dall’essere il paladino di Wagner e rompe i rapporti con il musicista.

Nietzsche rimane sconcertato dal compiacimento che il vecchio Wagner si costruisce sia per edificare il suo teatro personale (di Bayreuth) sia per pagarsi i costosissimi spettacoli delle sue opere musicali. Wagner, che da giovane era anarchico (discepolo di Bakunin, scappato per miracolo dopo la rivoluzione di Dresda del 1848), ora bada soltanto al suo trionfo e per questo non esita a farsi sovvenzionare da spiriti come il principe di Monaco (un personaggio “per niente raccomandabile e mezzo matto”). Nietzsche capisce così che queste scelte non vanno affatto bene, che lì c’è “la malattia” (per approfondire, vedere L’uomo senza qualità di Robert Musil).

Il Parsifal (ultima opera di Wagner che narra di Parsifal, il quale viene a curare la ferita del re che è la ferita dell’umanità; in questa opera c’è la conversione cristiana di Wagner) è il “nemico” di Nietzsche (anche se Nietzsche, provetto pianista, suonerà il Parsifal fino all’ultimo; lo sappiamo per la testimonianza degli affittuari torinesi del suo appartamento durante il soggiorno in Italia del Filosofo).

È dunque con opere come Umano, troppo umano, Aurora e La gaia scienza che Nietzsche si distacca dai suoi maestri giovanili. In particolare, Umano, troppo umano (1978) segnerà una svolta nel pensiero di Nietzsche, da qui egli infatti abbandonerà per sempre Schopenhauer e Wagner. La radice di questo abbandono è da rintracciare, tra le altre, in due intuizioni:

1) Noi dobbiamo andare al fondo dei nostri giudizi, non usare la ragione contro i nostri giudizi o in maniera scriteriata. Questo è l’Illuminismo vero! Bisogna portare il lume della ragione laddove la ragione ci ha reso pazzi, laddove la ragione ha reso l’uomo folle. In sintesi: bisogna fare i conti con le nostre origini. Questo nuovo Illuminismo che viene dopo il romanticismo sarà meno entusiastico e meno superficiale del vecchio Illuminismo: la ragione ci deve mettere di fronte ad una tragedia storica (e umana) mai avvenuta prima. Non ci sarà quindi l’ottimismo superficiale dei primi illuministi ma nemmeno quella rassegnazione schopenhaueriana mista ai falsi rimedi proposti da Wagner.

2) Umano, troppo umano, Aforisma 222: “L’uomo scientifico è l’ulteriore sviluppo dell’uomo artistico”. Non è vero che il più profondo modo di comprendere l’uomo, il mondo, la vita, l’universo, lo si debba affidare all’arte (capovolgimento totale del wagnerismo!). Nietzsche vuole “l’uomo scientifico” e non “l’uomo arcaico” rappresentato da Wagner (il Filosofo riprende Spinoza: la conoscenza intellettuale come la più alta vetta della profondità umana).

La vita come ingiustizia

Nella prefazione dell’86, quando, ripubblicando Umano, troppo umano e altre opere, Nietzsche scrive delle prefazioni aggiuntive, dice (rivolgendosi a se stesso) che in ogni giudizio di valore è implicita una prospettiva: quando “tu mi dici che questo è bene”, che questo è bello, sarà certamente così ma nella “tua prospettiva” (da questi significati nasce la famosa espressione “prospettivismo nietzscheano”).

Umano, troppo umano, Introduzione (6): [Lo “spirito libero”, cioè Nietzsche, sta qui parlando a se stesso] “Dovevi imparare a capire la necessaria ingiustizia insita in ogni pro e contro, l’ingiustizia come elemento inscindibile della vita, e la vita stessa come condizionata dalla visione prospettica, e dalla sua ingiustizia”.

La vita è dunque, per Nietzsche, ingiustizia (è volontà di potenza, cioè affermazione della propria prospettiva sulle altre prospettive; dal che c’è sempre qualcosa di ingiusto, di stupido in questo! Non si comprendono i valori dell’altro e c’è un impoverimento a patto della propria potenza, però questa è la vita, al di là del bene e del male, al di là delle “misure umane” – Umano, troppo umano – perché queste misure umane sono solo il risultato di una cultura che non ha più il coraggio di assumersi la propria responsabilità della propria prospettiva).

Dunque ogni morale, ogni religione, ogni metafisica è soltanto una prospettiva e dietro a questa prospettiva sta soltanto l’utile, l’interesse di quella forma di vita, che quando se ne vergogna in realtà non ha nemmeno più il coraggio di riconoscersi. Nietzsche sta dicendo che le opere non hanno un autore, le opere sono “frutto del mondo” e quello che noi chiamiamo autore o scrittore al massimo è uno scriba (vedi Lo scriba del caos, bellissimo libro su Nietzsche scritto da Ferruccio Masini). Nietzsche registra quindi una “situazione esplosiva” che non è ancora esplosa ma che lui sa, esploderà a breve. Un cambiamento radicale ed epocale, cioè il nichilismo e le sue conseguenze.

L’annuncio della morte di Dio e l’oltreuomo

La profonda critica di Nietzsche, che da questo punto in poi possiamo definire critica dell’idealismo, dell’evoluzionismo, del positivismo e del romanticismo, non si ferma a considerazioni banali. Queste scuole teoriche appena citate sono “umane, troppo umane” e si presentano come (finte) verità eterne e assolute che per il Filosofo è necessario smascherare (è opportuno richiamare in questa sede il termine “maestro del sospetto”. Difatti, la volontà di smascherare le “menzogne millenarie” gli farà guadagnare – assieme a Nietzche e a Freud, chiamati maestri del sospetto per altri motivi – l’appellativo di “maestro del sospetto”, appellativo datogli per la prima volta dal filosofo Paul Ricoeur).

Nell’opera Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali (1881) Nietzsche continua la sua opera di demolizione e struttura la sua critica alla religione e ai pregiudizi morali (vedi, ad esempio, l’aforisma 50, il quale richiama la seconda considerazione inattuale ed è collegato al tema dell’homo pamphagus citato anche nell’aforisma 171, cioè l’uomo che “mangia di tutto” perché non sviluppa una capacità critica e non è capace di dare una forma a sé stesso).

Nell’opera La gaia scienza (in particolare nel famoso aforisma 125: “Che ne è di Dio? Io ve lo dirò. Noi l’abbiamo ucciso – io e voi. Noi siamo i suoi assassini!”) del 1882 Nietzsche fa annunciare dall’uomo pazzo agli uomini la morte di Dio. La civiltà occidentale si è così staccata da Dio che lo ha ucciso. Uccidendo Dio sono morte tutte le certezze metafisiche, sono morti tutti quei valori inseriti a fondamento della vita e si sono persi quindi tutti i punti di riferimento. Eliminando il mondo soprannaturale abbiamo anche irrimediabilmente distrutto l’irremovibile fondamento della vita e così facendo abbiamo infranto la tavola dei valori e degli ideali ad esso connessi. L’uomo folle ci annuncia, perciò, che ora ci troviamo senza punti di riferimento: con la morte di Dio è scomparso per sempre l’uomo vecchio ma l’uomo nuovo non è ancora apparso (sempre nell’aforisma 125 l’uomo folle dice: “Vengo troppo presto, non è ancora il mio tempo”).

Lo scopo di tutta l’opera di Nietzsche si inizia quindi a delineare da questa opera: la produzione di un uomo libero. Uomo libero da quelli che si crede che siano gli istinti fondamentali, libero dal bene e libero dal male (vedi Al di là del bene e del male del 1886), libero dalle istituzioni, libero dalle religioni (vedi sia Aurora sia, soprattutto, Genealogia della morale del 1887), il “viandante per definizione”, cioè colui che cammina nella libertà della vita accettandone la sofferenza e trasvalutandola in bellezza: l’oltreuomo.

L’oltreuomo (o “superuomo” in una traduzione meno felice; per approfondire, vedi la traduzione del termine proposta, ad esempio, da Gianni Vattimo) è quell’uomo che si libera della sua pretesa di essere al centro dell’universo e dalla pretesa di essere lo scopo della natura (come già diceva Spinoza: l’uomo non è lo scopo della natura). Dirà Nietzsche, anche in Genealogia della morale (1887), che “la filosofia che ha in mente e quella che pratica va contro se stessa”, egli filosoferà “con il martello”, rompendo perfino quel sottile terreno che lo sostiene. L’uomo libero è, quindi, quello che torna alla “mancanza di qualsiasi possibilità di soluzione”, e la mancanza di soluzione è l’essenza dell’atto umano di misurare la smisuratezza.

La genesi del nichilismo e l’eterno ritorno

Per Nietzsche il nichilismo non è solamente “la conseguenza necessaria del cristianesimo, il punto massimo della morale e del concetto di verità della filosofia”. Esso è il vero e proprio crollo di tutte le illusioni millenarie, è l’uomo che si scopre e resta solo, immerso nell’abisso del nulla. Il nichilismo è un vero e proprio “stato psicologico” che “si attiva” nell’essere umano quando ci si accorge che il senso delle cose (della vita) non esiste e l’uomo non è al centro dell’universo.

Nietzsche distingue un nichilismo passivo (un avvertire la morte di Dio come “la perdita irreparabile”) e un nichilismo attivo (o affermativo), attraverso il quale smascherare i falsi valori della cultura occidentale e creare le premesse per una nuova fase, nella quale all’uomo (il quale, va ricordato, è per il Filosofo incapace di sopportare la vita senza ricorrere a menzogne metafisiche o religiose), subentrerà il superuomo, ossia un essere umano capace di accettare la vita nella sua caoticità e di imporre a essa la propria volontà di potenza.

Non vi è dunque un ordine né vi è un senso nella vita. Ma c’è una (e una sola) necessità: il mondo è dominato dalla volontà di accettare se stesso e di ripetersi. Ecco il senso profondo dell’eterno ritorno.

Il mondo non procede in maniera “finalistica” (come crede il cristianesimo), né il suo divenire è progresso (come crede l’idealista hegeliano o il positivista), ma tutte le cose “ritornano eternamente” e perfino noi “fummo già eterne volte e tutte le cose con noi”.

L’amor fati

Il mondo che accetta se stesso e che si ripete, questa, a grandi linee è la base della cosmologia nietzscheana. Alla cosmologia, Nietzsche collega la dottrina dell’amor fati: amare il necessario, accettare questo mondo e amarlo per come esso è. L’uomo riconosce nella propria volontà di accettazione del mondo la stessa volontà del mondo che accetta se stessa. Egli segue in maniera consapevole la stessa via che gli altri uomini hanno seguito “ciecamente”, egli approva questa via e non cerca di fuggire da essa come fanno i malati o i rassegnati. Questo è l’insegnamento più grande di Zarathustra (Così parlo Zarathustra, 1883).

L’uomo (il quale è una corda tra la scimmia e il superuomo) deve diventare oltreuomo, un uomo fedele alla terra che non presti fede al soprannaturale ma i cui valori siano “la salute, la volontà forte, l’amore, l’ebbrezza dionisiaca e un nuovo orgoglio”. Ai vecchi e ancestrali doveri l’oltreuomo sostituirà quindi la propria volontà. Sulla tomba della metafisica, tra l’abisso del vuoto e la montagna dell’avvenire dovrà restare sospeso il superuomo.

Il significato della volontà di potenza

I valori della vita non si fondano sull’essere e sul vero, non sono qualcosa “in sé e per sé”, ma sono solo dei punti di vista, sono ciò che secondo una precisa visuale (tramite la volontà di potenza) si impone come condizione di conservazione e di accrescimento della vita. Il divenire e la vita sono volontà di potenza e tutti i valori si connettono strettamente con tale volontà di potenza.

Scrive Nietzsche in La volontà di potenza (frammenti editi postumi) nel frammento 348: “[…] Tutti gli scopi, le mete, i significati non sono che espressioni e metamorfosi dell’unica volontà che inerisce a ogni accadere, la volontà di potenza; l’avere scopi, mete, intenzioni, il volere in genere equivalgono a un voler diventare più forti, a un voler crescere, e in più a volere anche i mezzi; l’istinto più universale ed elementare, in ogni fare e volere, è rimasto il più sconosciuto e nascosto proprio per il fatto che, in pratica, noi seguiamo sempre il suo comando, per il fatto che siamo questo comando… Tutti i giudizi di valore sono solo conseguenze e ristrette prospettive al servizio di quest’unica volontà; il giudicare stesso è solo questa volontà di potenza; una critica dell’essere in base a uno qualunque di questi valori è qualcosa come un controsenso e un, equivoco; anche nel caso che in tutto questo si introducesse un processo di decadenza, questo processo servirebbe ancora quella volontà… Valutare l’essere stesso; ma lo stesso valutare è ancora questo essere; e dicendo no, facciamo ancora ciò che siamo… Bisogna rendersi conto dell’assurdità di questo atteggiamento che giudica l’esistenza; e poi cercare ancora di indovinare che cosa propriamente avvenga in tal caso”.

Dunque la metafisica, la morale, la religione, la scienza sono per Nietzsche delle diverse forme della stessa menzogna, poiché con il loro “aiuto” si crede nella vita. La vita “deve ispirare fiducia” e per farlo essa deve essere mascherata dalla menzogna. Per assolvere al compito della vita l’uomo “deve essere già per natura un mentitore, deve essere prima di tutto un artista” ed effettivamente, per Nietzsche, l’uomo lo è. La metafisica, la morale, la religione e la scienza non sono nient’altro che delle creature dell’uomo partorite dalla volontà di menzogna, delle negazioni della verità.

Quello di “volontà di potenza” è dunque, ad oggi, uno dei concetti più complessi e discussi di Nietzsche. In linea generale, la volontà di potenza si identifica con la vita stessa, intesa come vera e propria forza assolutamente espansiva, forza che si autosupera (supera se stessa) in continuazione e deve necessariamente farlo per essere tale. Questa volontà vuole se stessa, è una volontà che “sempre vuole” (mentre in Schopenhauer la volontà di vivere deve essere convertita in noluntas, cioè in non volontà). Scrive Nietzsche in Così parlò Zarathustra: “la vita stessa mi ha confidato questo segreto: […] io [sta parlando la vita stessa] sono il continuo necessario superamento di me stessa”. La volontà di potenza trova la sua espressione più alta (lo ricordiamo) nell’oltreuomo (termine che è la felice traduzione del tedesco Übermensch). L’uomo nietzscheano non è “über” solamente perché è “oltre” l’uomo del passato, ma anche perché la sua essenza consiste nel continuo e incessante oltrepassamento di sé. La volontà di potenza, che si esercita nel porre valori e schemi interpretativi, ha il proprio apice nell’accettazione-intuizione dell’eterno ritorno e nella “apoteosi del vivere”, ossia nell’atto tramite il quale “il divenire, in quanto eternizzato, riceve il sigillo dell’essere”. In altre parole, il divenire diviene vero e proprio essere in quanto immerso nell’eterno ritorno.

La volontà di potenza non si manifesta quindi come desiderio concreto di uno o più oggetti specifici, ma come il meccanismo incessante del desiderio stesso. Un desiderio che vuole soltanto il suo stesso accrescimento in una sorta di pulsione infinita di rinnovamento. Eterno ritorno è quindi, in questa prospettiva, continua ripetizione eterna dell’attimo creativo. Il paradosso che ne nasce è questo: la volontà vuole sì incessantemente, ma allo stesso tempo deve continuamente negare se stessa, per evitare di soffermarsi su un punto di vista che si possa considerare definitivo. Alla potenza della creatività deve quindi succedere di volta in volta il suo stesso annientamento, per far sì che essa possa rinascere. Di conseguenza, ogni verità raggiunta diventa immediatamente una non verità.

Per ulteriori approfondimenti su quest’ultimo paragrafo (specialmente sul tema della “verità” in Nietzsche come valore), si consiglia di leggere le riflessioni di Martin Heidegger sul nichilismo (per approfondire il nichilismo portato alle sue conseguenze estreme vedi Metafisica e nichilismo di Martin Heidegger).

La fase finale, la morte e l’eredità

Nel 1889 iniziò il crollo mentale di Nietzsche. Tale crollo mentale proseguì negli anni e fu sempre più accentuato, tanto che esso causò al Filosofo la perdita dell’uso delle gambe (1894) e la perdita parziale della parola (1894) fino a fargli raggiungere uno stato semi-catatonico nel (1895) quando oramai le sue opere, la sua fama e il suo pensiero si erano diffusi in tutta Europa. Nietzsche morì di polmonite il 25 agosto 1900 e fu seppellito (nonostante il suo ateismo dichiarato) con cerimonia religiosa nel cimitero di Röcken.

Alla fine degli anni 50’, gli studiosi Giorgio Colli e Mazzino Montinari decisero di raccogliere tutti gli scritti di Nietzsche (sia per proteggerli dalle accuse di nazismo sia per preservarne l’autenticità) ed avviare una edizione critica (edita in Italia da Adelphi). Tale edizione critica divenne lo standard per gli studi su Nietzsche.

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